Questo è un articolo della serie Tecnica di Caravaggio. Se non hai letto gli articoli precedenti ti consiglio di leggerli prima di andare avanti con la lettura di quest’articolo.
Il tema dell’imprimitura è abbastanza complesso perchè dalle analisi statigrafiche sembra che in opere diverse Caravaggio abbia usato materiali diversi. E’ evidente che una tela grezza è completamente inadatta a ricevere il colore, da qui la necessità di applicare su di essa uno strato preparatorio. In generale si può dire che qualsiasi imprimitura è composta da 3 elementi fondamentali:
- cariche inerti (es. gesso, carbonato di calcio, argilla, quarzo);
- leganti, a loro volta divisi in:
- di natura proteica (colle animali o caseina);
- oleosi (olio di lino o noce);
- resinosi;
- pigmenti siccativi o semisiccativi
Lo scopo delle cariche inerti è quello di creare una superificie adeguata che assorba il colore nella giusta maniera. L’obiettivo dei leganti è quello di fare in modo che la superficie non sia eccessivamente assorbente e allo stesso tempo leghino il colore alla superficie pittorica. Infine, i pigmenti (siccativi o semisiccativi) hanno la funzione di campire la superficie con un colore.
Un pò di Storia
Secondo il libro del Vasari la pittura a Firenze si sviluppò nella seconda metà del 1200 quando i signori che all’epoca governavano Firenze fecero arrivare alcuni pittori dalla Grecia per decorare alcune chiese. Tra gli allievi di questi artisti Greci c’erano tre futuri artisti: Cimabue, Gaddo Gaddi e Andrea Tafi.
Alla quale inclinazione di natura fu favorevole la fortuna, perché essendo chiamati in Firenze da chi allora governava la città alcuni pittori di Grecia, non per altro che per rimettere in Firenze la pittura più tosto perduta che smarrita, cominciarono fra l’altre opere tolte a far nella città la capella de’ Gondi, di cui oggi le volte e le facciate sono poco meno che consumate dal tempo, come si può vedere in Santa Maria Novella allato alla principale capella, dove ell’è posta. Onde Cimabue, cominciato a dar principio a questa arte che gli piaceva, fuggendosi spesso dalla scuola stava tutto il giorno a vedere lavorare que’ maestri; di maniera che, giudicato dal padre e da quei pittori in modo atto alla pittura che si poteva di lui sperare, attendendo a quella professione, onorata riuscita, con non sua piccola sodisfazzione fu da detto suo padre acconcio con essoloro.
Oggi sicuramente molti di voi ricordano Cimabue come il padre della pittura italiana che ebbe il suo massimo splendore nel Rinascimento maturo di Leonardo, Raffaello e Michelangelo. Cimabue ebbe due allievi di grande importanza: Giotto e Duccio di Buoninsegna. Il primo fu il padre della scuola fiorentina e il secondo della scuola senese che ebbe come massimo esponente Simone Martini allievo di Duccio. Molte delle tecniche dell’epoca le conosciamo grazie al Libro dell’Arte di Cennino Cennini che fu allievo di Agnolo Gaddi, figlio di Taddeo Gaddi a sua volta figlio di Gaddo Gaddi e allievo di Giotto. Quindi gli insegnamenti del libro del Cennini sono prevalentemente le lezioni che si impartivano nella bottega di Giotto e ci vorrà ancora qualche anno per arrivare al Rinascimento maturo sopra citato. All’epoca di Cennini (1370-1440) la pittura ad olio si era già diffusa in Italia solo che i dipinti ad olio venivano eseguiti prevalentemente su tavola, la quale veniva costruita affinchè avesse le minori imperfezioni possibili, poi veniva apprettata con colle animali e, infine, veniva eseguita un’imprimitura di gesso e colla. Le grandi opere di decorazione delle chiese venivano eseguite principalmente con la tecnica dell’affresco. Nel suo celebre libro il Vasari attribuisce l’invenzione della pittura ad olio a Jan van Eyk ma oggi sappiamo che di questa tecnica ne parlavano già Vitruvio, Plinio il Vecchio, Galeno e Teofilo. Sicuramente i pittori fiamminghi hanno contribuito al perfezionamento della tecnica e a diffonderla in tutta Europa. L’uso della tela come supporto per la pittura ad olio avvenne solo verso la fine del ‘400 ed inizio del ‘500 nell’area veneziana. L’umidità della laguna era un grande nemico degli affreschi e la pittura ad olio su tela sembrava non soffrisse di questo problema. Poco per volta l’affresco venne sostituito da pitture ad olio eseguite su tele di grandi dimensioni montate su leggeri telai di legno. Questo modo di operare consentiva anche di produrre l’opera in bottega e poi trasportarla nel luogo dove doveva essere collocata. Uno dei primi artisti che ha sfruttato questo nuovo modo di lavorare fu Tiziano, basti pensare che tutte le sue opere sono dipinti olio su tela mentre i suoi maestri Gentile e Giovanni Bellini produssero poche opere di questo tipo e solo verso la fine della carriera. Ovviamente queste nuove esigenze pittoriche comportarono la soluzione di diversi problemi come quello dell’uso di cariche inerti più flessibili del gesso. Secondo il Vasari questo nuovo modo di eseguire l’imprimitura richiedeva sempre una prima apprettatura della tela con tre o quattro mani di colla. Poi si mescolava una pasta di farina (carica inerte), olio di noce (legante) e biacca (pigmento).
Gli uomini, per potere portare le pitture di paese in paese, hanno trovato la comodità delle tele dipinte, come quelle che pesano poco et a volte sono agevoli a traportarsi. Queste a olio, perch’elle siano arrendevoli, se non hanno a stare ferme non s’ingessano, attesoché il gesso vi crepa su arrotolandole; però si fa una pasta di farina con olio di noce, et in quello si metteno due o tre macinate di biacca; e quando le tele hanno avuto tre o quattro mani di colla che sia dolce, ch’abbia passato da una banda a l’altra, con un coltello si dà questa pasta, e tutti i buchi vengono con la mano dell’artefice a turarsi. Fatto ciò, se li dà una o due mani di colla dolce e da poi la mestica o imprimatura, et a dipingervi sopra si tiene il medesimo modo che agl’altri di sopra racconti. E perché questo modo è paruto agevole e commodo, si sono fatti non solamente quadri piccoli per portare attorno, ma ancora tavole da altari et altre opere di storie grandissime come si vede nelle sale del palazzo di S. Marco di Vinezia et altrove -, avengaché, dove non arriva la grandezza delle tavole, serve la grandezza e ‘l commodo delle tele.
Il modo di lavorare di Tiziano influenzò molti artisti del tempo e sicuramente i suoi allievi tra cui Simone Peterzano maestro a sua volta di Caravaggio a Milano per quattro anni. Quindi credo che sia chiaro a questo punto da dove derivasse l’attitudine di Caravaggio a lavorare solo con colori ad olio su tele di grandi dimensioni e perchè i materiali da lui adoperati per l’imprimitura si discostano da quelli del Cennini.
Ho voluto aprire questa breve parentesi storica per evidenziare due aspetti che spero da oggi in poi teniate ben presenti.
- Quando si parla del modo di lavorare degli antichi maestri non bisogna cadere nell’errore di pensare che ci fosse un’unica ricetta uguale per tutti. Come abbiamo visto da Cimabue a Caravaggio le esigenze sono cambiate e di conseguenze anche le tecniche applicate.
- Le tecniche pittoriche non subiscono modifiche solo tra epoche artistiche diverse ma ci possono essere diversità tra artisti appartenenti alla medesima epoca artistica se non addirittura in opere diverse del medesimo artista. Come vedremo più avanti lo stesso Caravaggio nel corso della sua carriera ha usato materiali diversi per l’imprimitura delle sue opere così come anche la sua tavolozza ha subito cambiamenti nel corso degli anni.
L’imprimitura di Caravaggio
In base a quanto detto sopra appare evidente che nel periodo prerinascimentale di Cennini la carica inerte fosse il gesso, le colle animali erano i leganti e i colori terrosi (ocre gialle e rosse) venivano usati come pigmenti siccativi o semisiccativi. Dalla fine del ‘500 data la necessità di creare un’imprimitura più flessibile affinchè la tela potesse essere asportata, arrotolata e trasportata oltre al gesso (usato magari negli strati preparatori inferiori) si cominciò ad utilizzare altri tipi di cariche inerti.
Vasari, ad esempio, nel suo libro suggerisce l’uso di pasta di farina (sembra la farina di segala sia la più indicata) e qualche opera di Tintoretto e di Tiziano sembra contenga questo ingrediente. C’è anche da registrare, però, che l’uso della farina fu nel ‘600 fortemente criticata da artisti come Volpato e Pacheco.
Le analisi stratigrafiche eseguite sulle opere del Caravaggio hanno evidenziato la stesura di una o più mani di imprimitura. In generale gli strati più in superficie erano più raffinati di quelli iniziali. Ad esempio, nella Buona Ventura di Roma e di Parigi, nell’Incoronazione di spine di Vienna e nella Madonna dei Palafrenieri sono stati utilizzati due strati preparatori. Nel Ragazzo morso dal ramarro di Londra, nella Conversione della Maddalena, nella Cena in Emmaus di Londra e nella Madonna dei Pellegrini la preparazione è stesa in un unico strato molto spesso. Come cariche inerti Caravaggio utilizzava soprattutto solfato di calcio (o gesso) come nella Madonna dei Palanfrieri, carbonato di calcio come nel San Giovanni Battista e argilla come nella Madonna dei Pellegrini. In alcune opere di Caravaggio, soprattutto quelle giovanili, la superficie appare granulosa probabilmente perchè alle cariche inerti sopra citate veniva aggiunto anche sabbia o calcite come alcune analisi hanno evidenziato nell’Incoronazione di spine di Vienna, nella Buona ventura di Roma, ne I Bari, nel Riposo durante la Fuga in Egitto, nella Madonna dei Pellegrini.
Il legante usato da Caravaggio, soprattutto nell’ultimo strato di preparazione, è di natura oleosa.
Relativamente al colore degli strati preparatori il Bellori afferma che l’artista “lasciò in mezze tinte l’imprimitura”. Da quest’affermazione traiamo l’importante notizia che il pittore utilizzava prevalentemente preparazioni scure corrispondenti alle “mezze tinte” del dipinto. Le fonti del XVII secolo consigliano per le preparazioni dei quadri l’uso di pigmenti siccativi e semisiccativi come il bianco di piombo, la terra d’ombra e le ocre gialle e rosse. In molte opere si ritiene che Caravaggio abbia usato colori bruno rossastri stesi con una tonalità pari alle mezzetinte del dipinto. Ci sono alcune divergenze di opinioni sull’uso di preparazioni grigie su alcune opere come il Bacchino malato, il Ragazzo con il canestro di frutta, la Buona Ventura dei Capitolini, I Bari e il Ragazzo morso dal ramarro di Firenze. A questi colori Caravaggio in alcuni casi aggiungeva piccole quantità di colori tipo: cinabro, malachite, giallo di piombo e stagno, nero carbone e, forse, nero di avorio. La stesura dell’imprimitura da parte dell’artista avveniva sia con l’uso della spatola, come nel Sacrificio di Isacco, e sia a pennello come nei dipinti della Cappella Cerasi, l’Incoronazione di Spine di Vienna, la Fuga in Egitto e la Madonna dei Pellegrini. Sembra che quest’ultima tecnica la preferiva quando doveva ricoprire tele di notevoli dimensioni.
A cosa ci servono tutte queste informazioni?
Da quanto letto nei precedenti articoli siamo in grado di acquistare un tela di lino grezza e montarla su un telaio. Abbiamo visto come preparare la colla di tipo animale per preparare l’apprettatura. Dalle informazioni raccolte in quest’ultimo articolo sappiamo anche come preparare l’imprimitura. Abbiamo capito che per prima cosa bisogna scegliere la carica inerte che più si adatta alle nostre esigenze sia essa il gesso, carbonato di calcio, argilla o altro. Abbiamo visto che il gesso risulta fragile se abbiamo necessità di asportare la tela, arrotorarla e trasportarla. Il legante principalmente usato da Caravaggio era di natura oleosa e i pigmenti usati per colorare sono tinte bruno rossastre. Oggi in commercio, come sappiamo, esistono tele già pronte all’uso e se la superficie pittorica e il grado di assorbimento ci soddisfa probabilmente possiamo omettere queste fasi preparatorie che per gli artisti del tempo erano necessarie visto che non avevano i mezzi che oggi abbiamo a disposizione. Questo e soprattutto vero per i principianti che magari possono dedicare poco tempo alla pittura e che non vogliono perdere tempo in queste fasi molto meno interessanti e creative. Se il nostro obiettivo, invece, è quello di sperimentare la tecnica caravaggesca in tutti i suoi aspetti allora sperimentare i materiali utilizzati dal maestro è sicuramente istruttivo e non è detto che alla fine si è così soddisfatti dei risultati da non poterne più fare a meno. La preparazione pratica dell’imprimitura è simile all’imprimitura di gesso e colla già discussa su questo blog. E’ sufficiente sostituire il gesso con la carica inerte che si desidera sperimentare. L’aggiunta di qualche goccia d’olio all’impasto è fondamentale per dare maggiore elasticità al preparato e spargere sulla superficie un medium più affine ai colori ad olio. Per ciò che riguarda il colore bruno rossastro da usare per campire la tela credo che le terre bruno rossastre (terre d’ombra bruciata, terra di cassel, terra di siena bruciata, ecc.) siano l’ideale. Su questo blog ho pubblicato anche un tutorial completo per la realizzazione di una buona campitura.
Attualmente la foto presenta delle strisce generate dal software MSPaint quando ho rimpicciolito la foto. Mi dispiace ma è l’unica copia che ho e non posso pubblicarne un’altra di qualità migliore.
Hai letto i restanti articoli della serie Tecnica di Caravaggio? Ecco l’indice degli articoli disponibili.
Fonti:
- Documenti di Roberta Lapucci
- Alcuni passaggi di quest’articolo derivano da appunti presi su un sito in italiano molto tempo fa il cui titolo era “Dossier Caravaggio” che a sua volta si riconduceva agli studi della Dr.ssa Lapucci. Purtroppo questo sito non esiste più e non ricordo l’indirizzo web che aveva, ma volevo comunque ricordarlo.
Come sempre: O. K. e complimenti per il non facile compito di sintetizzare e rendere accessibili a tutti le “ricette” dei classici.
Io per il momento mi fermo ai fiamminghi perché sono convinto che, anche se è un metodo lento, però dà modo di elaborare l’opera con calma e un attento studio.